Kant: La critica del giudizio

Kant fa una distinzione tra giudizi determinanti e giudizi riflettenti:

-i giudizi determinanti sono quelli che l’uomo esprime a proposito della realtà fenomenica attraverso le sue forme a priori e che costituiscono giudizi che esprimono una conoscenza di tipo scientifico.
-i giudizi riflettenti invece sono quelli che nascono dalla riflessione dell’uomo di fronte alla natura e di fronte al tentativo di comprenderne la finalità. 

I giudizi riflettenti
Kant individua due tipi fondamentali di giudizi riflettenti:
-il giudizio estetico che nasce dall’intuizione
-il giudizio teleologico che nasce dalla comprensione

La differenza fra i due giudizi sta nella immediatezza: il giudizio estetico arriva in maniera intuitiva, senza ragionamento, ed è di natura soggettiva; il giudizio teleologico nasce invece dalla concettualizzazione ed è di natura oggettiva.
Nonostante i giudizi estetici appaiono soggettivi, ovvero legati ad un sentimento espresso dal singolo, e i giudizi teleologici appaiono oggettivi, in quanto rimandano a una finalità che tutti possono osservare, in entrambi i casi siamo di fronte in realtà a un bisogno soggettivo della mente di trovare un fine, un’armonia nell’ordine naturale delle cose.

I giudizi teleologici sono quelli che ci mostrano la natura al di là dei suoi aspetti meccanici, anche se, è sempre il caso di ricordarlo, questi giudizi non possono portare a una conoscenza effettiva. Essa è infatti possibile solo nella ricostruzione dei meccanicismi naturali.
I giudizi estetici, la cui analisi fonda la filosofia estetica kantiana, ovvero la riflessione di Kant in merito ai concetti di arte e bellezza.

I giudizi estetici innanzitutto possono essere rivolti a due forme: al bello e al sublime. Il bello è il sentimento dell’armonia. Il sublime viceversa è il sentimento che nasce dall’incontro con l’eccesso, con ciò che appare smisurato.

Il sentimento della bellezza

A proposito del concetto di bello, Kant sostiene la differenza fra campo del piacevole e campo del piacere estetico:
-il piacevole nasce dai giudizi estetici empirici, ovvero dai giudizi che il singolo esprime in base alla sua individualità. 
-il piacere estetico nasce dai giudizi estetici puri, i quali a differenza dei primi rimandano a una universalità, a una pretesa di oggettività.

Kant in particolare distingue fra bellezza aderente e bellezza libera:
-la bellezza aderente è quella che si rifà a certi canoni estetici di una certa cultura. Questi non possono essere oggetto di giudizi estetici puri, in quanto sono legati alle mode o ai punti di vista di singole civiltà;
-la bellezza libera è legata a ciò che è al di là di stili, mode e punti di vista. È la bellezza che Kant definisce senza concetto e che nasce ad esempio in una musica senza testo, come ad esempio una sinfonia, o dalla vista della natura. Questo tipo di bellezza ha la possibilità di parlare un linguaggio universale e quindi può essere oggetto di giudizi puri.

Kant spiega quali devono essere le caratteristiche della bellezza per produrre un piacere estetico, individuandone quattro:
1) Il bello è l’oggetto di un “piacere senza interesse”, la bellezza può essere universale se contemplata senza un tornaconto personale;
2) Il bello è ciò che “piace universalmente senza concetto”, la bellezza non può essere legata ad un ragionamento sul meccanismo che la produce;
3) Il bello è “la forma della finalità di un oggetto senza la rappresentazione di uno scopo”, la bellezza universale non è inquadrabile in schemi conoscitivi, è sempre spontanea;
4) Il bello è “oggetto di un piacere necessario”. la bellezza mette tutti d’accordo, anche se non è possibile trovare una spiegazione logica di questa sua universalità.

Kant si trova impegnato a dover giustificare il perché sia possibilità l’universalità del giudizio estetico. Non quindi cosa sono i giudizi estetici puri, ma perché essi sono possibili. Questa giustificazione è definita da Kant “deduzione dei giudizi estetici puri”, al pari della “deduzione trascendentale delle categorie”.

Il cuore della deduzione dei giudizi estetici puri sta nell’individuazione di una struttura comune del gusto, che Kant definisce anche senso comune. Anche in questo caso Kant compie dunque una “rivoluzione copernicana”, stavolta di natura estetica: il bello non è nella natura, fuori dall’uomo, ma nella struttura mentale stessa dell’uomo. 

La bellezza nell'arte

La bellezza nella natura e nell’arte riflettono la stessa struttura, in quanto si può distinguere fra:
arte piacevole, che nasce con uno scopo e dunque è soggetta a valutazioni di tipo soggettivo
arte bella, che invece non ha uno scopo preciso, produce un piacere disinteressato e dunque è oggetto di valutazioni universali

L’arte bella è il frutto del lavoro del genio. La figura del genio è descritta da Kant attraverso tre caratteristiche.
1) Il genio è colui che crea in maniera originale, dunque senza rifarsi a schemi già presenti
2) Il genio è colui che produce opere esemplari, che dunque diventano modello per gli altri
3) Il genio produce l’opera d’arte attraverso un’intuizione, un processo dunque che non può essere spiegato e ripercorso in maniera razionale

Il sentimento del sublime

Come si diceva il sublime è ciò che nasce dall’incontro con l’eccesso, col disarmonico. Mentre la bellezza produce in noi una sensazione di armonia e di sereno stupore, il sublime è un sentimento paradossale, che provoca vertigine, la sensazione allo stesso tempo di miseria e grandezza, oscurità e luce.

Kant distingue due forme di sublime:
-il sublime matematico, che nasce dall’incontro con ciò che è eccessivamente grande
-il sublime dinamico, che nasce dall’incontro con la forza della natura

Il sublime matematico è il trovarsi di fronte a misure che schiacciano l’uomo per il loro eccesso. Basti pensare alla sensazione che si può trovare di fronte ad esempio alla vastità delle galassie.
Il sublime dinamico è invece provocato dal nostro trovarci di fronte all’impatto con la natura nelle sue forme più violente, da un mare in tempesta a un vulcano che erutta.

In entrambi i casi la prima sensazione che l’uomo prova è il sentimento di impotenza, la comprensione della propria piccolezza rispetto all’eccessivamente grande.
Ma questa sensazione lascia poi il campo ad un’altra opposta. Nel primo caso se inizialmente ci sentiamo schiacciati da qualcosa che ci appare numericamente infinito, in seguito finiamo per provare una forma di piacere, in quanto comprendiamo che l’infinito è un’idea che appartiene all’uomo e che questa idea è superiore a qualunque realtà possibile.
Nel secondo caso, allo stesso modo, passiamo dalla sensazione di fragilità e debolezza a quella di una superiorità rispetto alla natura, ad una sensazione di potenza: mentre la natura è legata alla sua dimensione materiale, l’uomo ha una dimensione spirituale. La morale libera l’uomo dai suoi confini e limiti materiali, cosa che alla natura non è permesso.

Il sentimento del sublime è dunque questo: il passaggio dal sentimento di dispiacere e impotenza alla sensazione del piacere e della potenza.

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