Kant: La critica della ragion pura

La Critica della ragion pura ha come oggetto di studio la validità della conoscenza, ovvero della fondamenta del sapere.

Il termine critica significa analisi; Della ragione vuol dire che questa analisi deve essere prodotta dalla ragione; Il termine pura si riferisce ai campi del sapere definiti “puri”, ovvero senza finalità pratica nell’agire umano. Questi campi sono la matematica, la fisica e la metafisica.

L’obiettivo di Kant: determinare la capacità della ragione umana di esprimere una conoscenza valida per quanto riguarda la matematica, la fisica e la metafisica.
La ragione, sostiene infatti Kant, è il fondamento unico della conoscenza. Ma l’estensione della ragione non è illimitata, come afferma ad esempio Cartesio. Essa è pienamente sovrana, ovvero in grado di fondare la conoscenza, ma solo dentro certi limiti.


I giudizi sintetici a priori

Due sono i filoni principali che si interrogano sulla validità della conoscenza e con cui si confronta all’epoca di Kant:
il razionalismo = secondo cui la ragione, nella sua portata illimitata, è il fondamento della conoscenza;
l’empirismo = secondo cui il fondamento della conoscenza sta nell’esperienza.
Kant sottolinea i limiti dei due filoni:
-i razionalisti esprimono una conoscenza universalmente valida e necessaria, ma escludono l’esperienza, dunque non sono in grado di pensare una conoscenza di tipo nuovo;
-gli empiristi pongono l’accento sull’esperienza, quindi sulla possibilità di produrre una nuova conoscenza, ma non sono in grado di pensare a una conoscenza sempre valida perché ogni conoscenza è necessariamente subordinata all’esperienza e dunque limitata da essa.

Un giudizio, in termini kantiani, vuol dire predicare qualcosa a proposito di un soggetto. In termini più semplici vuol dire affermare qualcosa a proposito di (es. dire che le foglie dell’albero sono verdi è un giudizio).
Kant afferma infatti che esistono due tipi di giudizio esprimibili:
-i giudizi analitici a priori
-i giudizi sintetici a posteriori

analitico = vuol dire che il predicato non aggiunge nulla di nuovo rispetto al soggetto.
A priori = vuol dire che non serve l’esperienza per avere conferma di quanto il predicato dice del soggetto.

giudizi analitici a priori, dice Kant, sono tipici del razionalismo perché fondano la loro validità sull’applicazione pura della ragione.
Questo tipo di giudizi possiede un aspetto positivo e uno negativo:
1. Il pregio è che esprimono una conoscenza valida a priori e quindi universale, sempre valida;
2. Il difetto è che esprimono una conoscenza che non aggiunge nulla di nuovo a quanto è già evidente, e quindi è una conoscenza che non produce niente.

Vediamo ora i giudizi sintetici a posteriori.
Giudizio = sappiamo ormai cosa vuol dire
-Sintetico = vuol dire che il predicato aggiunge qualcosa di nuovo rispetto al soggetto
A posteriori = vuol dire che quello che il predicato aggiunge è determinato dopo che se ne è fatto esperienza, a posteriori appunto
I giudizi sintetici a posteriori sono tipici dell’empirismo, sostiene Kant, perché fondano la loro validità sull’esperienza.
Anche in questo caso questi giudizi hanno un pregio ma pur sempre un difetto:
1. Il pregio è che sono giudizi fecondi, ovvero che producono conoscenza di tipo nuovo, che non è già evidente, implicita nel soggetto
2. Il difetto è che non sono universali, ovvero non sono validi a prescindere, infatti possono essere espressi solo dopo che se ne è fatta esperienza.

Torniamo quindi ai giudizi sintetici a priori che Kant vuole arrivare a produrre. Questi hanno infatti il doppio pregio di essere:
-sintetici = e quindi di produrre una conoscenza feconda, in grado di aggiungere qualcosa di nuovo rispetto a quanto già noto
-a priori = la loro validità è universale, quindi prima di farne esperienza.
Dunque, per chiudere, produrre giudizi sintetici a priori vuol dire produrre una conoscenza allo stesso tempo feconda e universale.

La rivoluzione copernicana

Il problema dei razionalisti e degli empiristi, afferma Kant, è che rivolgono la loro attenzione all’oggetto da conoscere, non al soggetto conoscente. 
Ma la realtà esterna, secondo Kant, è filtrata dal soggetto conoscente, quindi il problema è comprendere cosa il soggetto “vede” dell’oggetto.
Sta qui il nucleo di quella che Kant definisce la sua rivoluzione copernicana. Ovvero: spostare l’attenzione dall’oggetto al soggetto. Spostare l’attenzione dalla struttura della realtà esterna alla struttura delle categorie con cui l’uomo si costruisce la sua immagine della realtà esterna.
Questo ci porta ai pilastri dell’intera riflessione di Kant:
1) La differenza fra fenomeno noumeno
2) L’esistenza dei trascendentali

Il fenomeno è la realtà esterna che si mostra all’io, ovvero che sono gli oggetti della natura che esistono e che l’uomo filtra attraverso le strutture conoscitive. In altri termini il fenomeno è la rappresentazione che l’uomo ha della realtà esterna.
Il noumeno è invece la realtà esterna non accessibile all’io e su cui quindi l’Io deve tacere. Kant definisce il noumeno anche “cosa in sé”, proprio per descrivere l’idea che è la parte della realtà che non si mostra all’io, che rimane chiusa in sé. L’io non può esprimere nessun giudizio al di fuori della realtà fenomenica, si deve solo limitare a formulare l’ipotesi della presenza della cosa in sé.
Il “tribunale della ragione” deve determinare quali siano i confini della realtà fenomenica che si mostra all’uomo e che dunque può essere conosciuta dalla ragione.

I trascendentali, in Kant, sono quelle forme della conoscenza che appartengono al soggetto, non all’oggetto. 
Ci sono delle forme che sono dei “filtri” che appartengono a tutti gli uomini.
Queste strutture trascendentali sono tre:
1) Le forme a priori
2) Le categorie trascendentali dell’Io penso
3) Le idee della ragione

Il processo della conoscenza

Per capire in cosa consistono queste forme trascendentali dobbiamo prima vedere come è composto il processo conoscitivo secondo Kant.
Questo processo è prodotto da tre facoltà:
1) La sensibilità = si percepisce la realtà esterna tramite i sensi
2) L’intelletto = attraverso l’intelletto definiamo gli oggetti della realtà esterna intorno a noi
3) La ragione = in questo caso Kant usa il termine non in maniera estesa di fondamento della natura umana, come abbiamo visto all’inizio, ma in maniera stretta, intendendo per ragione la facoltà con cui l’uomo ragiona sul mondo e si dà spiegazioni su di esso andando al di là di quello che l’esperienza ci mostra

Rispetto a questi momenti:
1) Le forme a priori sono le forme trascendentali del momento sensibile
2) Le categorie dell’Io penso sono le forme trascendentali del momento intellettivo
3) La idee sono le forme a priori della facoltà della ragione
Analizziamo a questo punto le tre facoltà e i corrispettivi trascendentali.

La sensibilità e le forme a priori

Come abbiamo visto, il primo momento della conoscenza è l’esperienza sensibile, quel momento in cui intuiamo l’esistenza di oggetti della realtà esterna a noi.
Kant afferma che noi organizziamo questo momento conoscitivo attraverso due forme a priori che sono:
1) Il tempo = che è detto il senso interiore
2) Lo spazio = che è detto il senso esteriore
Queste due forme fanno sì che quando percepiamo la realtà esterna lo facciamo sempre individuando gli oggetti e gli eventi della natura in un certo luogo e in un certo momento, o in una certa sequenza temporale.
Questo ci porta a dire che esiste qualcosa qui ora, oppure che qualcosa si è verificato dopo qualcos’altro.
Le forme a priori dello spazio e del tempo ci permettono, secondo Kant, di esprimere giudizi sintetici a priori di natura matematica e quindi di affermare la validità del sapere matematico.

Per matematica Kant intende l’insieme di aritmetica e geometria.
L’aritmetica si fonda sul concetto di successione. Esempio: 2+2=4. Questo vuol dire che noi dobbiamo partire da 2 e poi aggiungere 1 e 1. Dunque, creiamo una successione. Dal momento che la nostra forma a priori del tempo si fonda sul concetto di successione (prima, ora, dopo, ecc…) questo vuol dire che per noi l’aritmetica è valida a priori perché possediamo quella struttura che ci permette di cogliere la validità prima dell’esperienza.
La stessa cosa vale per la geometria. In quanto la geometria, così come la nostra forma a priori dello spazio, è basata sull’organizzazione della dimensione spaziale.
Si può giungere dunque a una prima conclusione del ragionamento kantiano: attraverso le forme a priori dello spazio e del tempo, l’uomo è in grado di produrre giudizi sintetici a priori di natura matematica e quindi si può determinare la validità del sapere matematico.

Intelletto e categorie

L’intelletto, dice Kant, è la capacità di produrre giudizi, ovvero di unificare i vari dati che ci provengono dall’intuizione dello spazio-tempo e affermare qualcosa a proposito della realtà esterna.
L’aspetto fondamentale di questo passaggio è la differenza fra giudizi a posteriori e giudizi a priori.
Quello che ci permette di produrre questi giudizi a priori, ovvero prima dell’esperienza, sono le categorie trascendentali dell’intelletto. Ovvero delle categorie che ci guidano nella rappresentazione della natura.
Queste sono 12 divise in quattro gruppi:
-gruppo della quantità = categorie della totalità, pluralità, unità
-gruppo della qualità= categorie della realtà, negazione, limitazione
-gruppo della relazione = categorie di sostanza\accidente, causa-effetto, azione reciproca
-gruppo della modalità = categorie della esistenza, possibilità, necessità

Kant aggiunge poi che queste categorie trovano una loro unità in quello che il filosofo chiama: Io penso. L’Io penso è un centro unificatore che tutti gli uomini possiedono e con cui sintetizziamo i dati delle 12 categorie permettendoci una spiegazione unica dei fenomeni. In altre parole, l’Io penso è il nostro intelletto. Kant lo definisce anche appercezione trascendentale: appercezione significa “percepire di percepire”. Quindi quello che vuole dire Kant è che l’intelletto è consapevole della sua capacità di percepire la realtà esterna.

A partire dalle categorie trascendentali e dall’Io penso, Kant avvia un complesso ragionamento che lo porta a individuare i principi dell’intelletto puro.
I principi dell’intelletto puro sono le regole di fondo con cui applichiamo le categorie  agli oggetti, alla realtà fenomenica.
Questi principi sono quattro:
1) Dalle categorie della quantità derivano gli assiomi dell’intuizione
2) Dalle categorie delle qualità derivano le anticipazioni della percezione
3) Dalle categorie della relazione derivano le analogie dell’esperienza
4) Dalle categorie della modalità derivano i postulati del pensiero empirico in generale

Questi principi rendono, per usare un’espressione famigerata di Kant, l’Io legislatore di natura. Con l’Io legislatore di natura si realizza pienamente la rivoluzione copernicana di Kant e si fondano le basi della validità della conoscenza scientifica.
Io legislatore di natura significa che è l’Io penso a possedere in sé i principi generali che i fenomeni devono seguire in maniera necessaria. L’ordine regolare dei fenomeni non sta infatti nella natura, ma nell’uomo stesso, nei suoi principi dell’intelletto puro.
Possedendo queste regole di base, che garantiscono dunque le leggi generali della fisica, attraverso l’esperienza l’uomo può poi trovare le leggi particolari.
In questo modo Kant assicura la validità scientifica della fisica e sostiene che l’uomo attraverso lo studio e l’esperienza può espandere le proprie conoscenze.

Le idee della ragione

Kant analizza una terza facoltà, che chiama ragione.
Per ragione Kant intende, in questo caso, la capacità dell’uomo di produrre idee che vanno oltre ai dati dell’esperienza. Questa capacità deriva dalla spinta innata all’uomo di non accontentarsi di ciò che l’esperienza gli mostra, ma di cercare spiegazioni sul mondo che vanno al di là di quello che la realtà fenomenica ci dice.
Tecnicamente la ragione è dunque la facoltà che porta l’uomo a unificare i dati dell’intelletto per indagare il noumeno, ovvero la cosa in sé, cioè la realtà non fenomenica, la realtà che non si mostra all’uomo. In altre parole, con la facoltà della ragione si indaga la metafisica.

Questa facoltà ha spinto l’uomo a produrre in particolare tre idee che Kant chiama idee della ragione:
1) L’idea dell’anima = l’idea che l’uomo possieda un’anima che contiene tutti i fenomeni psichici. Kant definisce l’anima l’idea della totalità assoluta dei fenomeni interni
2) L’idea cosmologica = l’idea che tutti i fenomeni del mondo possano essere ricondotti a una lettura unitaria, a un ordine generale che può essere spiegato. Kant definisce questa l’idea della totalità assoluta dei fenomeni esistenti
3) L’idea di dio = l’idea che esista un ente perfetto e assoluto la cui esistenza è dimostrabile. Kant definisce questa l’idea della totalità assoluta a fondamento di tutto ciò che esiste.

Per quanto riguarda l’dea dell’anima, Kant sostiene che questa idea nasce da un errore di fondo, ovvero dare una esistenza sostanziale all’Io penso, che è invece soltanto un centro che si limita a ordinare i dati provenienti dall’esperienza.

Per quanto riguarda l’idea cosmologica, Kant sostiene innanzitutto che la pretesa di fondo è sbagliata, perché noi possiamo fare esperienza di alcuni fenomeni, non della loro totalità, e dunque non possiamo tracciare un ordine generale che mette insieme ogni fenomeno possibile. Quindi questa idea va al di là di ciò che l’esperienza ci può dimostrare.
In secondo luogo, Kant sostiene infatti che nel corso della storia filosofica, l’idea cosmologica ha prodotto nozioni e spiegazioni del mondo in contraddizione con di loro.
Sono state prodotte spiegazioni del mondo che vanno o in una certa direzione o nella direzione totalmente opposta, ma in nessuno caso vi sono elementi per stabilire quale delle due abbia un reale fondamento.
1) La prima antinomia è l’opposizione fra il sostenere che l’universo sia finito in termini spazio-temporali o infinito
2) La seconda antinomia è l’opposizione fra il sostenere che il tutto sia divisibile all’infinito e sostenere viceversa che vi sia una limite oltre al quale non si può procedere alla divisibilità
3) La terza antinomia è l’opposizione fra il sostenere che nel mondo le cose accadono secondo libertà oppure secondo necessità, ovvero, ammettere da un lato che sia spazio per il libero arbitrio oppure che tutto accade secondo meccaniche leggi di natura.
4) La quarta antinomia è l’opposizione fra il sostenere che vi è una causa, e dunque uno scopo, nel mondo, oppure affermare che tutto è casuale, dunque non vi sono né causa né fine.

Per quanto riguarda infine l’idea di dio, ovvero di un essere da cui derivano tutti gli altri esseri, Kant passa in rassegna tutte le prove razionali che sono state prodotte dalla filosofia e dalla teologia riguardo l’esistenza di un ente supremo e passa a smentirne la falsa pretesa di questa razionalità. In particolare Kant smonta la cosiddetta prova ontologica, quella prova che è stata prodotta da Sant’Anselmo e poi ripresa da Cartesio, secondo cui Dio in quanto essere perfetto non può non esistere. Kant dimostra la non sostenibilità di questa tesi affermando che questa poggia su un non giustificato salto dalla logica alla realtà. Qualcosa che è perfetto sul piano logico, dice infatti Kant, non deve necessariamente esistere, in quanto si tratta di due piani separati fra di loro.

La conclusione di Kant, dopo aver analizzato le tre idee della ragione, è che la metafisica non può essere dunque oggetto di scienza, quindi non può produrre giudizi sintetici a priori.
Qui vi è dunque il limite che la critica della ragione fa emergere, ovvero la pretesa di mostrare razionalmente l’esistenza di una realtà noumenica, ovvero non fenomenica, appunto metafisica. Attraverso questa critica Kant vuole anche smontare la pretesa di dare spiegazioni dogmatiche del mondo, cioè che fanno discendere ogni spiegazione del mondo da realtà che si vuole necessariamente dimostrare come esistenti.

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